Quando nel 2007 le Nazioni unite decisero di istituire questa giornata, i promotori spiegarono che il blu, in quanto “tinta enigmatica”, ha il potere di risvegliare il senso di “sicurezza” e il bisogno di “conoscenza”.
La “sicurezza” intesa non solo come la possibilità, nel presente, di vivere un’esistenza libera e allo stesso tempo protetta, sia per gli autistici, sia per i loro familiari, ma anche come sicurezza del futuro. Perché l’incubo che scandisce la vita quotidiana delle madri e dei padri dei ragazzi autistici è quel che accadrà quando loro non ci saranno più. Il cosiddetto incubo del “dopo di noi”.
La “conoscenza” in tutti i suoi significati: sia l’informazione dei cittadini perché sappiano come regolarsi (ci sono alcune regole molto semplici) quando hanno a che fare con un autistico, sia la ricerca scientifica sulle cause di questo disturbo, ancora in buona parte sconosciute. Infatti non esiste una cura: l’autismo è una condizione permanente.
Questo colore rappresenta in qualche modo quel che viviamo tutti i giorni noi familiari e le persone colpite: ci sono delle volte che il blu è brillante come il mare in un giorno d’estate, e altre volte che questo blu si fa scuro e si disperde come un mare in tempesta”.
Ci sono autistici che parlano e altri che non parlano, che sono “totalmente chiusi in se stessi” (stato che coincide col senso comune sull’autismo) o che invece sono totalmente aperti, casinisti, affettuosissimi.
C’è quindi un’altra spiegazione del blu, o meglio della scelta di un solo colore e non di una policromia per rappresentare l’autismo e diffonderne la consapevolezza. L’autismo è una condizione che ha modi diversissimi di manifestarsi (e che perciò necessita di diversi livelli di assistenza a seconda dei casi) ma che copre dello stesso velo tutti quelli che la vivono.